campagna per la liberazione di Margherita Caminita
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E' polemica sulla proposta del ministro della Sanità per un accordo con le compagnie private

Le "assicurazioni" di Sirchia

La spesa sanitaria aumenta in relazione alla crescita dell'età media e al sempre più alto numero di malati cronici. L'innovazione sanitaria si fa sempre più costosa per cercare di venire incontro ai bisogni dei pazienti, che vogliono servizi di assistenza all'altezza. Il ministro della Sanità Sirchia si sarà chiesto: dove trovare i soldi? Alla fine ha formulato una proposta: stipulare convenzioni tra le assicurazioni private e le Regioni per finanziare l'intramoenia negli ospedali pubblici. Nel 2003 il 93% dei medici ospedalieri italiani ha scelto l'intramoenia - cioè l'esercizio dell'attività privata in ospedale, versando una quota per l'utilizzo della struttura - che però, a detta del ministro, continua a lavorare in sostanziale perdita. Attualmente il Servizio sanitario nazionale è finanziato con il 5, 8% del Pil, che evidentemente non basta. In sintesi si tratterebbe di dirottare una parte del 2% del Pil, speso dagli italiani per curarsi nella sanità privata, verso le strutture pubbliche. Questa operazione, secondo l'ipotesi del ministro, dovrebbe portare ad un risparmio per le Regioni di circa 5 miliardi di euro.

La soluzione prospettata da Sirchia non ha tardato a sollevare critiche, da parte di chi condanna il «vero obiettivo del governo, che è quello di arrivare a consistenti processi di privatizzazione del Sistema sanitario nazionale», come ha detto il segretario confederale Cgil Passoni. «Fare leva su elementi di tipo assicurativo è un passo indietro, sicuramente un peggioramento - afferma Fulvio Aurora, responsabile sanità Prc - Non bisogna rifarsi al sistema americano, ma prendere come esempio il modello assistenziale vigente in Francia e Germania». D'altra parte la proposta non convince neanche dal punto di vista economico: «Il sistema assicurativo prevede il pagamento per ogni singola prestazione - spiega - e questo porterà ad un aumento degli interventi non necessari e quindi della spesa complessiva. La differenza è che quest'ultima ricadrà sul cittadino che paga la polizza assicurativa». Ecco allora una controproposta: «Bisogna aumentare il finanziamento del Servizio sanitario nazionale, facendolo arrivare all'8% del Pil, o almeno al 7% per stare nella media europea». L'esigenza di un maggior sostegno economico alla sanità pubblica è ribadita anche da chi si trova ogni giorno a lavorare tra carenze e limiti: «Le condizioni delle strutture pubbliche sono di estrema difficoltà - afferma il dott. Aldo Sachero, medico ospedaliero appartenente a "Medicina democratica" - ma non è questo il modo di risollevarle». Un'obiezione viene spontanea: «I malati cronici sono spesso affetti da patologie che necessitano di terapie costose - osserva il dott. Sachero - Quali saranni i termini delle convenzioni? Le polizze assicurative rischiano di non essere accessibili per tutti». Il presidente nazionale della Lila - Lega italiana lotta all'Aids - Filippo Manassero in questo senso è chiaro: «Molti malati di Aids vivono in condizioni di disagio - dice - e per loro sarà difficile avere un servizio di assistenza all'altezza senza pagare». Piuttosto sono altri gli interventi da stabilire per migliorare il Servizio sanitario nazionale: «Bisogna puntare su un progetto di sensibilizzazione verso la prevenzione - continua Manassero - destinato soprattutto ai giovani». Duro il commento di Bruno Vegro, responsabile della Lila a Como, dove si occupa di una comunità di recupero per tossicodipendenti: «Questa proposta, se realizzata, servirebbe solo a far morire tutti quei malati che non possono permettersi di pagare la polizza assicurativa». Poi si lascia andare ad una considerazione amara: «In questo paese si va avanti con la regola del profitto ad ogni costo, mentre si può parlare di sanità pubblica solo se si applica la solidarietà».

Si profila quindi il rischio che, d'ora in avanti, il diritto alla salute si potrà esigere solo pagando le assicurazioni private: chi non può pagare cerchi di non ammalarsi. Contro questa triste prospettiva è prevista una manifestazione il prossimo 27 giugno a Roma, a cui parteciperanno i lavoratori e le lavoratrici della sanità, ancora in attesa di rinnovare il loro contratto di lavoro scaduto da 18 mesi, insieme a tutti i cittadini che vorranno esserci, per spiegare al ministro Sirchia che di certe "assicurazioni" non sanno che farsene.

Niccolò Carratelli  (Articolo del 17 Giugno 2003)




Ridurre al minimo i servizi per aprire alla sanità privata


Le recenti dichiarazioni del ministro Sirchia non sono una novità. Il ministro della sanità ribadisce ancora una volta che le politiche sanitarie pubbliche vengono decise dal ministro Tremonti e dal sottosegretario all'Economia Giuseppe Vegas, in linea con le aspettative dei padroni della sanità privata. Già l'anno scorso il sottosegretario Vegas aveva delineato, in un intervista a "Il Bisturi", la ricetta del governo Berlusconi in sanità: diagnostica, farmaceutica, medicina di base, sono tutte cose che il sottosegretario ritiene di poter "tranquillamente" affidare ad un sistema assicurativo, con la detassazione per chi sottoscrive una polizza. In questa logica, il dato di partenza e quello di arrivo coincidono, e consistono nel progressivo contenimento della spesa sanitaria pubblica per aprire porte e finestre alla sanità privata. Del resto, la stessa Assoprevidenza dichiarava nel maggio dell'anno scorso che i fondi sanitari privati non avevano prospettive di espansione perché i relativi versamenti non erano interamente deducibili dalle tasse e potevano coprire solo servizi e prestazioni residuali, non coperti dal servizio sanitario nazionale.

Insomma, il sistema sanitario pubblico finanziato dalla fiscalità progressiva è un avversario invincibile, e il "libero" mercato può espandersi solo a condizione della riduzione dell'offerta pubblica e dell'introduzione di incentivi fiscali per chi si assicura. Ecco allora che il servizio sanitario nazionale deve garantire solo più servizi minimi per i poveri, lasciando il campo alle assicurazioni private; va abbattuta la tassazione progressiva, e il sistema fiscale deve incoraggiare la spesa sanitaria privata, nella più assoluta indifferenza per le abissali disuguaglianze nell'accesso alla salute che caratterizzano i paesi, come gli Stati Uniti, che hanno adottato questo sistema. La sostanza del ragionamento del ministro Sirchia sull'estensione dell'attività privata all'interno del servizio sanitario pubblico è in realtà quella di dare ciò che si toglie: si riducono al minimo i servizi e le prestazioni rivolte alla generalità delle persone e finanziate dalla fiscalità generale; e si restituiscono servizi a pagamento, incoraggiando il ricorso a polizze private, sostitutive dei servizi tagliati. In realtà, la spesa sanitaria privata pesa oggi, in Italia, il 2% del Pil. Questo è l'esatto ammontare che manca al Fondo Sanitario Nazionale per allineare la spesa sanitaria pubblica italiana a quella di altri paesi europei, come Francia e Germania. In questo quadro, dobbiamo batterci perché cresca nel paese un'opposizione politica e sociale sull'obbiettivo dell'aumento della spesa sanitaria pubblica. Noi chiediamo l'aumento della spesa sanitaria pubblica non da oggi, perché è il solo modo per impedire che la residualità del sistema sanitario pubblico, che finirebbe col farsi carico solo della fase intensiva delle malattie, di quelle che hanno durata breve, oppure di alcune malattie croniche che hanno una certa rilevanza medica, ed esclusivamente per le fasce più povere della popolazione. Una tendenza che registra cedimenti nel centro sinistra, a partire dal disegno di legge sulle non autosufficienze in discussione alla Camera.

Erminia Emprin  (Articolo del 17 Giugno 2003)

 
CRIMINI IGNORATI sono CRIMINI PROMOSSI ed AVALLATI !